Il santo del giorno: San Gabriele, il santo dei giovani e del sorriso

San Gabriele è annoverato come uno dei santi dei giovani e del sorriso. Sono queste due peculiarità di questo santo che sono delle pietre miliari della fede cristiana. L’annuncio di Cristo è un annuncio che, anche se sono trascorsi oltre duemila anni dalla sua venuta sulla Terra è un annuncio giovane che ha il profumo della novità permanente tanto nel neonato quanto nell’uomo di 100 anni. E poi c’è il sorriso! Il cristiano è il sorriso dell’anima di un uomo che si sente costantemente amato da quel Dio che è un eterno, perfetto e geniale innamorato della sua creatura.

(Dal sito del santuario di San Gabriele: storia del santo)

San Gabriele nasce da famiglia aristocratica ad Assisi (Perugia) il 1° marzo 1838, da Sante Possenti, governatore della città, e Agnese Frisciotti. Lo battezzano lo stesso giorno con il nome dell’illustre concittadino, Francesco. Nel 1841 Sante è nominato assessore al tribunale di Spoleto (Perugia), dove si trasferisce con tutta la famiglia.

A tredici anni Francesco affronta gli studi liceali nel collegio dei gesuiti. E’ intelligente, esuberante, vivace, gli piace studiare, riesce ottimamente soprattutto nelle materie letterarie. Compone poesie in latino, le recite scolastiche lo vedono sempre protagonista. Vince numerosi premi scolastici. Elegante, vivace, spigliato, diventa un punto di attrazione per la sua allegria. Gli piace seguire la moda, veste sempre a puntino. Vuole primeggiare in tutto, “la bella vita non gli dispiace”.

Organizza partite di caccia, partecipa a passeggiate e scampagnate, va volentieri a teatro col padre e le sorelle, va a ballare (in città è anche conosciuto come “il ballerino”), anima le serate nei salotti di Spoleto, legge i romanzi e lo attirano gli autori del tempo, il Manzoni, il Grossi, il Tommaseo. Ma è anche di animo buono, generoso, sensibile alle sofferenze dei poveri, ama la preghiera. Sprizza vita da tutti i pori. Niente di strano se qualche ragazza fa sogni su di lui. Lui si presenta sempre più ricercato nei vestiti e sempre più raffinato nelle sale da ballo e nei salotti.

E’ un bel ragazzo e ne è consapevole. Alto (circa m.1,70), snello, moro, viso rotondo fragile, occhi neri vividi, labbra ondulate con finezza sempre in sorriso, capelli castano scuri dal ciuffo ribelle. Checchino della vita è innamoratissimo, ma sul futuro sembra ancora indeciso. Egli “aveva sortito da natura un carattere molto vivace, soave, gioviale, insinuante, insieme risoluto e generoso, ed aveva un cuore sensibile e pieno d’affetto…  di parola pronta, propria, arguta, facile e piena di grazia, che colpiva e metteva in attenzione”.

I ripetuti lutti familiari e alcune brutte malattie in cui è incappato gli hanno fatto apparire le gioie umane brevi ed inconsistenti; come l’ultimo dramma, la morte dell’amatissima sorella Maria Luisa, il 17 giugno 1855. Segue un anno tribolato senza riuscire a fare una scelta. Le cose non sono più quelle di prima, l’idea del convento torna con più insistenza. Il 22 agosto 1856, durante la processione, quando  l’immagine della Madonna del duomo passa davanti a lui, gli risuonano nel cuore chiare parole: “Francesco, cosa stai a fare nel mondo? Segui la tua vocazione!”.

Questa volta non riesce a resistere. Il 6 settembre parte da Spoleto e va a Morrovalle (Macerata) per iniziare il noviziato. Lui, il ballerino elegante, il brillante animatore dei salotti di Spoleto, ha scelto di entrare nell’istituto austero dei passionisti, fondato nel 1720 da San Paolo della Croce con lo scopo di annunciare, attraverso la vita contemplativa e l’apostolato, l’amore di Dio rivelato nella Passione di Cristo.

A 18 anni dunque Francesco volta pagina, affronta una nuova vita e cambia anche nome: d’ora in poi si chiamerà Gabriele dell’Addolorata, perché sia chiaro che il passato non esiste più. La scelta della vita religiosa è radicale fin dall’inizio: si butta anima e corpo, da innamorato, per sempre. Ha trovato finalmente la pace del cuore e la felicità.

Non gli fanno certo paura le lunghe ore di preghiera, le penitenze e i digiuni, perché ha trovato quello che cercava: Dio che gli riempie il cuore di gioia. Lo scrive subito al papà: “La mia vita è una continua gioia…La contentezza che io provo è quasi indicibile… Non cambierei un quarto d’ora di questa vita”. Il 22 settembre 1857 emette la professione religiosa.

Il 10 luglio 1859 arriva nel conventino dei passionisti a Isola del Gran Sasso (Teramo) per prepararsi al sacerdozio con lo studio della teologia. A fine 1861 si ammala di tubercolosi; ogni cura risulta vana. Non riesce a diventare sacerdote anche perché difficoltà politiche impediscono nuove ordinazioni. Gabriele si rende conto che non c’è niente da fare. Il viaggio è già finito. Ma non si sconvolge. E’ proprio quello che aveva chiesto qualche anno prima. Quel che conta è solo la volontà di Dio. “Così vuole Dio, così voglio anch’io”, scrive. La mattina del 27 febbraio 1862 “al sorgere del sole” Gabriele saluta tutti, promette di ricordare in paradiso, chiede perdono e preghiere. Poi muore confortato dalla visione della Madonna che invoca per l’ultima volta: “Maria, mamma mia, fa’ presto”.

La sua è ritenuta da tutti la morte di un santo. Tutti ricordano i suoi brevi giorni, all’apparenza comuni. Il quotidiano è stato il suo pane, la semplicità il suo eroismo. Le piccole fragili cose di ogni giorno che diventavano grandi per lo spirito con cui le compiva. Lo ripeteva spesso: “Dio non guarda il quanto ma il come; la nostra perfezione non consiste nel fare le cose straordinarie ma nel fare bene le ordinarie”. Tutti ricordano la sua vita trascorsa all’ombra del Crocifisso e di Maria Addolorata, che è stata la ragione della sua vita. Il suo direttore, padre Norberto Cassinelli, rivela a tutti il segreto della sua santità: “Gabriele ha lavorato con il cuore”. Nel 1866 la comunità passionista di Isola è costretta ad abbandonare il conventino ai piedi del Gran Sasso, in forza del decreto di soppressione dei religiosi. La tomba di Gabriele sembra abbandonata per sempre, ma non è così. Qui si chiude solo la prima fase della storia del giovane passionista.

La seconda fase inizia nel 1892, a trent’anni dalla morte di Gabriele, quando sulla sua tomba accadono i primi strepitosi prodigi. Il 17 e 18 ottobre 1892 si procede alla riesumazione sotto stretta sorveglianza della gente che non vuole sentire parlare di trasferimento delle ossa. Sono presenti dalle quattro alle settemila persone. In quella stessa giornata si parla di “almeno sette prodigi di rilievo”. Così Gabriele resta definitivamente in Abruzzo e da allora ha inizio una catena ininterrotta di prodigi, grazie e miracoli operati per sua intercessione. Gabriele viene dichiarato beato da san Pio X il 31 maggio 1908 e in suo onore viene innalzata la prima basilica. Il 13 maggio 1920 Benedetto XV lo proclama santo e nel 1926 diventa compatrono della gioventù cattolica italiana.

 

La comunione di un figlio, un nuovo momento per riscoprire l’amore di Cristo

Quanti patentati ricordano tutto ciò che hanno appreso durante il corso di scuola guida? Forse gli istruttori sì perché è il loro lavoro! Nella maggior parte dei casi ci si ricorda dei segnali stradali più comuni, di dare la precedenza a destra, di rispettare le distanze di sicurezza con le altre macchine, di non sorpassare dove c’è scarsa visibilità, e altre reminiscenze che ci permettono di guidare quasi per inerzia.

Con la fede è la stessa cosa. Si acquisiscono gli insegnamenti (che hanno il valore di “semi destinati a portare frutto”) sulla chiesa in un età in cui non si ha ancora una maturità di vita che permette di apprenderne fino in fondo il senso in occasione del catechismo in preparazione alla prima comunione, cresima e matrimonio. Nella maggior parte dei casi queste nozioni divengono delle reminiscenze come quelle della scuola guida e che nel tempo possono divenire anche senza senso.

Se si ha l’occasione/la grazia di frequentare la vita di parrocchia e/o intraprendere uno dei tanti cammini di fede ecclesiali come l’Azione Cattolica, i Neocatecumeni, il Rinnovamento Nello Spirito, i Focolorini, Comunione Liberazione e Agesci (realtà tutte presenti a San Salvo) si comincia ad entrare nell’ottica della bellezza e della grandezza dell’Amore di Dio. Ma è comunque come uno stare davanti l’ingresso di una porta strettissima in cui si intravede soltanto, qualcosa di incredibilmente grande e meraviglioso e che è l’amore di Dio e di Santa Madre Chiesa. E ciò che in generale sono dei semplici precetti divengono degli atti di amore, conoscenza e condivisione con un Dio che ci ama immensamente e si ha sempre più sete di sapere per addentrarsi meglio dentro ciò che c’è al di là di quella porta stretta. Non a caso si parla di cammino di fede!

Ma anche in questo caso tanti insegnamenti ecclesiali non li si conoscono! È come se restassimo sempre e comunque sulla superficie dello scibile di Dio.

Quest’anno per la prima volta le parrocchie di San Nicola e San Giuseppe hanno intrapreso dei piccoli percorsi di fede pensati apposta per i genitori dei bambini e ragazzi che faranno la prima comunione e la cresima per far scoprire il senso e la bellezza del sacramento che stanno ricevendo i propri figli.

Durante questi incontri le catechiste e chi vive in qualche modo un cammino di fede testimoniano che significa Cristo nella loro vita. In altri si parla di cosa succede durante la celebrazione eucaristica. A conclusione del percorso ci sarà una giornata di convivialità. Il tutto è vissuto nel clima della serenità e della bellezza della fede.

Domenica in compagnia dei ragazzi tornati dalla GMG di Panama

(Articolo di Lorenzo Saturni)

Domenica 17 Febbraio 2019 nella parrocchia di San Nicola sono stati ospiti un gruppo di ragazzi di ritorno da Panama per vivere un’ altra GMG in Parrocchia.La festa e’ cominciata con la Santa messa delle ore 11:00. Prima della Santa messa Francesca Di Marco ha fatto i doverosi ringraziamenti e ha fatto indossare la tunica di Panama a Don Beniamino acquistata da tutti,specificando che la tunica va indossata sempre.

Angelo Di Bartolomeo prima dello spezzare del pane eucaristico ha illustrato gli oggetti che i ragazzi della GMG stavano esponendo ai piedi dell’ altare. Dopo la Santa messa il coro ha cantato l’ inno della GMG e a fine liturgia i ragazzi hanno condiviso il pranzo con Don Beniamino in sede.

I giovani hanno iniziati il momento di convivialità con il canto” Fame Fame Sete”, canto di ringraziamento al Signore.

Il tutto è stato allietato dal DJ Lorenzo che ha animato con le sue canzoni anche il pranzo. La sera la festa si è spostata in spiaggia per giocare a pallone e fare qualche video e qualche foto.

Arriverà presto a San Salvo una nuova statua della Madonna Addolorata

Michele Divito,lo scultore che sta realizzando l’opera per la comunità sansalvese, è stata apprezzato anche da papa Benedetto XVI

La prossima settimana arriverà a San Salvo una nuova statua della Madonna dell’Addolorata in stile settecentesco. La realizzazione della statua è stata commissionata dal parroco della chiesa di San Nicola Vescovo, don Beniamino Di Renzo a un’artista di Cerignola, Michele Divito. Maria D’Alessandro confezionerà l’abito appena la statua giungerà a San Salvo. Il busto è stato presentato dall’autore stesso alla trasmissione di Tv 2000 “Bel tempo si spera” del 18 febbraio.

Di seguito lo stralcio di un’intervista rilasciata dallo scultore Michele Divito al giornalista Vincenzo Barnabà per il sito di CerignolaViva (www.cerignolaviva.it/notizie/intervista-a-michele-divito/)

V- Chi è Michele Divito? Come si descriverebbe in 3 parole?
M – Michele Divito è caratterizzato da una spiccata sensibilità verso tutto ciò che parla della grandezza della natura, del creato e di chi l’ha costituito, e soprattutto verso la necessità altrui.. le tre parole che mi descriverebbero sono: tenacia, fede e perfezione.

V- Com’è vivere un mestiere così antico come quello dello scultore e essere consapevoli di possedere una delle poche botteghe ancora presenti in Puglia? Come spingeresti le persone ad aprire una “Bottega Artigianale” come la tua?
M – La spinta iniziale è stata ed è tutt’ora la volontà di creare una bottega come quelle rinascimentali, dove si realizzava di tutto ma a carattere sacro. La volontà di riprendere gli antichi materiali con antiche tecniche da me riviste e soprattutto la bellezza di un tempo ormai perduta..
Mi piacerebbe che queste nuove generazioni avessero il gusto di realizzare a mano il “bello” e che ci fosse la giusta dose di creatività e spirito di iniziativa. Lo auguro vivamente.

V – Quali sono stati i momenti più importanti della tua carriera e a quale statua sacrale sei più legato? Da dove trovi ispirazioni nel tuo lavoro?
M- Senza dubbio i momenti importanti sono sempre la presentazione al pubblico di una tua nuova opera, dopo averla “partorita” – risultato di tanti studi, pensieri, riflessioni.. e vedi la gente avvicinarsi, pregare ed emozionarsi.. come dicevo ogni opera è un figlio – tutti sono speciali.
La spinta a realizzare materialmente un’opera, avviene non prima di averla maturata nella mente in tutte le sue sfaccettature e non prima di avere sentito quel legame spirituale che ti unisce all’opera stessa che si intende raffigurare.

V – Cerignolano devoto, com’è stato portare un pezzo di Cerignola a Roma? Quali emozioni hai provato durante la consegna della statua al Papa? Come hai potuto incontrarlo?
M – Nel dicembre 2008 sono stato ricevuto da Sua Santità Benedetto XVI – ho realizzato per l’occasione un Gesù Bambino Benedicente di cm 70. Il Santo Padre pensava fosse antico ed io: “Santitá, questo Gesù Bambino l’ho realizzato nella mia bottega” e lui con stupore ha detto al cardinale che gli stava vicino: “portalo nel mio appartamento, lo terrò nella mia stanza..”
Per incontrarlo, scrissi al suo segretario dicendogli che desideravo incontrare il Santo Padre e che realizzavo arte sacra, e dopo circa sei giorni mi arrivò la convocazione in Vaticano.

V – Cosa consiglieresti a tutte le persone appassionate di scultura demotivate da questo meccanismo odierno che riesce solamente a distruggere i sogni dei prossimi lavoratori?
M – In ogni uomo c’è un seme chiamato passione, predisposizione o una cosa in particolare che riusciresti a fare con tanta voglia e non ti stanca mai. Questo è il segreto: credere nelle proprie passioni, farle fruttificare e soprattutto non scoraggiarsi mai sulle prime sconfitte apparenti, quelle non mancano ma fortificano e ti fanno progredire in meglio. L’essere tenaci su quello che crediamo è la chiave del successo.

Una domenica come tante: parrocchie sansalvesi che abbracciano famiglie, giovani e bambini

La messa domenicale rappresenta uno dei momenti cruciali della vita cristiana. Quando si entra in questo circolo di amore verso il Cristo vivente e della parrocchia ci si accorge della bellezza del suo messaggio per la vita di tutte le famiglie, dei suoi bambini, dei suoi ragazzi e dei suoi giovani. E nell’incontro domenicale intorno alla mensa eucaristica tutto è “eternamente nuovo”.

Domenica 17 febbraio le due parrocchie sansalvesi San Giuseppe e San Nicola Vescovo hanno vissuto dei momenti molto speciali e ricchi di emozioni e che hanno reso protagonisti i sette bambini che hanno fatto la promessa  Scout e i sei giovani sansalvesi che hanno partecipato alla Giornata Mondiale della Gioventù che hanno voluto stare di nuovo insieme con altri giovani provenienti da altre città del Molise e dell’Abruzzo conosciuti durante l’incontro con il papa.

Queste le testimonianze di due giovani delle due parrocchie

Il giorno della promessa è uno dei primi momenti significativi che un lupetto vive in branco. L’aspetto più bello è percepire l’emozione nei loro occhi e pensare che tu sarai lì al loro fianco, sempre finché loro lo vorranno, per noi capi è un onore indescrivibile. (Liliana Fabrizio una dei capi scout del gruppo Lupetti)

 

Siamo tornati da Panama…….e siamo qui con altri giovani dell’Abruzzo e del Molise che hanno vissuto con noi la GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTU’ per ritrovarci attorno alla Mensa del Signore e rinnovare nella nostra terra e nella nostra quotidianità il nostro si. La nostra adesione alla Chiesa Universale si concretizza nell’ essere parte attiva della Chiesa Locale, nel nostro essere operai nella Vigna del Signore che è la parrocchia……in comunione con il Parroco e camminando insieme a tutta la comunità.

Il cuore è ancora colmo di emozioni e tanta gioia. Nella sera della grande veglia al Campo San Juan Pablo IIabbiamo ascoltato come il “sì” di Maria riecheggia e si moltiplica di generazione in generazione. Il silenzio immenso dell’Adorazione Eucaristica vissuta da oltre 800 giovani provenienti da tutte le parti del mondo rimmarrà impressa sulla mia pelle a vita. A Gesu’ Eucarestia abbiamo affidato i nostri sogni ed i nostri progetti. Ecco il perchè di oggi, di nuovo insieme, con Lui e con tutti voi.

Sarebbero tanti i grazie da dire. Grazie alla nostra parrocchia e a chi ha anche voluto sostenere anche materialmente il nostro viaggio – vi abbiamo ricordato nella preghiera. Grazie alla nostra Azione Cattolica scuola del grembiule per tutti noi. E Grazie a te don Beniamino. Grazie perchè in te abbiamo ritrovato quella meravigliosità che il Papa ci ha ricordato era il grande dono di don Bosco e di tanti santi ossia guardare i giovani con gli occhi di Dio.

Volevamo dirti il nostro grazie con un dono bello e significativo, ci ha aiutato il nostro caro don Piero con il quale abbiamo vissuto questo frammento di tempo dall’altra parte dell’oceano. Ti abbiamo riportarto una casula della GMG che ti preghiamo, se vuoi, di indossare oggi con noi e per noi….giovani che tu sai guardare con gli occhi di Dio e che sei tornato a far sentire amati da tutta la comunità. (Francesca Di Marco)

 

 

Gesù siede davanti a una gran folla che attende una parola forte: “Beati voi poveri”

Commento al vangelo di don Andrea Manzone

Durante l’anno liturgico è frequente incontrare più volte la pagina biblica delle beatitudini; questa domenica ascolteremo la versione più asciutta ma forse più “viva” di Luca.

Una versione abbreviata, solo 4 beatitudini, ma anche estesa con altri 4 “guai!”, letteralmente “Ahimè” che Gesù consegna alla folla che lo ascolta. L’ingresso del vangelo è solenne; Gesù siede in un luogo pianeggiante, davanti ai suoi discepoli e alla folla convenuta da diversi luoghi della Palestina. Tutti attendono da lui una parola forte, che li scuota e che li istruisca.

È un’occasione ghiotta anche per Gesù, è il momento di maggiore ascolto, di maggior successo per lui. Stupisce allora che Gesù apra la bocca per proclamare una parola che, se secoli e secoli di ascolto passivo della Parola di Dio non ci avessero assuefatto e abituato, ci lascerebbe di stucco, forse ci indignerebbe: “Beati voi, poveri, perché vostro è il regno dei cieli”.

Sparisce anche quell’addolcimento della versione di Matteo (“poveri in spirito”) che potrebbe aprire ad una lettura un po’ più spirituale. Ad una prima lettura queste parole potrebbero essere addirittura offensive: che senso ha canonizzare una condizione così avvilente ed umiliante come quella dei poveri? Gesù forse desidera che rimaniamo sempre nell’indigenza e nel bisogno? E, guardando il primo “guai”, i ricchi sono forse maledetti?

Nulla di tutto ciò ovviamente. Questa domenica allora abbiamo una buona occasione per approfondire cosa significhi essere poveri secondo il Vangelo, e secondo Gesù. La povertà di cui parla Gesù più che uno stato è un atteggiamento di vita ben riconosciuto. Il greco usa una parola che in italiano potremmo rendere con “pitocchi”, che normalmente significa sciocchi, semplici, non adatti alla vita di mondo.

Il povero nella Scrittura è colui che pur avendo da vivere non compirà mai la scalata sociale fino alla ricchezza, non sarà mai del tutto indipendente, non vivrà mai al di sopra di qualcuno; il povero vive di generosità, di prossimità, ha nel suo DNA la condivisione, l’affidamento, la speranza.

I poveri sono coloro che non possiedono nulla perché già possiedono il Regno di Dio. E scusate se è poco.

Al discepolo di Gesù, destinatario del Vangelo di Luca, in quel Teofilo in cui tutti siamo significati, il Maestro raccomanda un atteggiamento che è difficile imitare o simulare: la piccolezza vissuta nella speranza. Come scrisse una santa che della piccolezza fece la sua via al cielo, S. Teresa di Gesù Bambino:

“Ciò che al buon Dio piace nella mia anima è il vedermi amare la piccolezza e la mia povertà, è la speranza cieca che io nutro nella sua misericordia”.

Dal Vangelo secondo Luca Lc 6,17.20-26

In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante.
C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidóne.
Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva:
“Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati.
Beati voi che ora piangete, perché riderete.
Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v’insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già la vostra consolazione.
Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame.
Guai a voi che ora ridete,
perché sarete afflitti e piangerete.
Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti”.

È il rimedio del tuo Orgoglio

Domenica 03 Febbraio 2019

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 4,21-30.

Allora cominciò a dire: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi».
Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è il figlio di Giuseppe?».
Ma egli rispose: «Di certo voi mi citerete il proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fàllo anche qui, nella tua patria!».
Poi aggiunse: «Nessun profeta è bene accetto in patria.
Vi dico anche: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese;
ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone.
C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno;
si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio.
Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò.
  • Questa Società sembra inghiottire molti all’ Egoismo più estremo . Senza il Rispetto per il Prossimo , il Rispetto verso noi Stessi , dove andremo a finire?  Se non vediamo e ci accorgiamo di quanto siamo ricchi di tutti i doni a noi donati , non ci sarà mai un cambiamento verso un mondo più libero , più  pulito e più onesto…Solo l’esempio e l’Umiltà di Gesù…È il rimedio del tuo Orgoglio…

 

  • Si dovrà coltivare l’umiltà che implica vero spirito di servizio e sola può evitare il pericolo di trasferire l’attiva generosità di impegno del singolo in una sorta di identificazione della propria persona e della propria affermazione con il bene comune.

VITTORIO BACHELET 

Oggi la Chiesa celebra la 41° Giornata per la vita: “È vita, è futuro”. Il messaggio della Cei

GERMOGLIA LA SPERANZA

«Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa»(Is 43,19). L’annuncio di Isaia al popolo testimonia una speranza affidabile nel domani di ogni donna e ogni uomo, che ha radici di certezza nel presente, in quello che possiamo riconoscere dell’opera sorgiva di Dio, in ciascun essere umano e in ciascuna famiglia. È vita, è futuro nella famiglia! L’esistenza è il dono più prezioso fatto all’uomo, attraverso il quale siamo chiamati a partecipare al soffio vitale di Dio nel figlio suo Gesù. Questa è l’eredità, il germoglio, che possiamo lasciare alle nuove generazioni: «facciano del bene, si arricchiscano di opere buone, siano pronti a dare e a condividere: così si metteranno da parte un buon capitale per il futuro, per acquistarsi la vita vera» (1Tim 6, 18-19).

VITA CHE “RINGIOVANISCE”

Gli anziani, che arricchiscono questo nostro Paese, sono la memoria del popolo. Dalla singola cellula all’intera composizione fisica del corpo, dai pensieri, dalle emozioni e dalle relazioni alla vita spirituale, non vi è dimensione dell’esistenza che non si trasformi nel tempo, “ringiovanendosi” anche nella maturità e nell’anzianità, quando non si spegne l’entusiasmo di essere in questo mondo. Accogliere, servire, promuovere la vita umana e custodire la sua dimora che è la terra significa scegliere di rinnovarsi e rinnovare, di lavorare per il bene comune guardando in avanti. Proprio lo sguardo saggio e ricco di esperienza degli anziani consentirà di rialzarsi dai terremoti – geologici e dell’anima – che il nostro Paese attraversa.

GENERAZIONI SOLIDALI

Costruiamo oggi, pertanto, una solidale «alleanza tra le generazioni», come ci ricorda con insistenza Papa Francesco.  Così si consolida la certezza per il domani dei nostri figli e si spalanca l’orizzonte del dono di sé, che riempie di senso l’esistenza. «Il cristiano guarda alla realtà futura, quella di Dio, per vivere pienamente la vita ‒ con i piedi ben piantati sulla terra ‒ e rispondere, con coraggio, alle innumerevoli sfide», antiche e nuove. La mancanza di un lavoro stabile e dignitoso spegne nei più giovani l’anelito al futuro e aggrava il calo demografico, dovuto anche ad una mentalità antinatalista che, «non solo determina una situazione in cui l’avvicendarsi delle generazioni non è più assicurato, ma rischia di condurre nel tempo a un impoverimento economico e a una perdita di speranza nell’avvenire. Si rende sempre più necessario un patto per la natalità, che coinvolga tutte le forze culturali e politiche e, oltre ogni sterile contrapposizione, riconosca la famiglia come grembo generativo del nostro Paese.

L’ABBRACCIO ALLA VITA FRAGILE GENERA FUTURO

Per aprire il futuro siamo chiamati all’accoglienza della vita prima e dopo la nascita, in ogni condizione e circostanza in cui essa è debole, minacciata e bisognosa dell’essenziale. Nello stesso tempo ci è chiesta la cura di chi soffre per la malattia, per la violenza subita o per l’emarginazione, con il rispetto dovuto a ogni essere umano quando si presenta fragile. Non vanno poi dimenticati i rischi causati dall’indifferenza, dagli attentati all’integrità e alla salute della “casa comune”, che è il nostro pianeta. La vera ecologia è sempre integrale e custodisce la vita sin dai primi istanti.

La vita fragile si genera in un abbraccio: «La difesa dell’innocente che non è nato deve essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra, e lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo». Alla «piaga dell’aborto» – che «non è un male minore, è un crimine» – si aggiunge il dolore per le donne, gli uomini e i bambini la cui vita, bisognosa di trovare rifugio in una terra sicura, incontra tentativi crescenti di «respingere profughi e migranti verso luoghi dove li aspettano persecuzioni e violenze»

Incoraggiamo quindi la comunità cristiana e la società civile ad accogliere, custodire e promuovere la vita umana dal concepimento al suo naturale termine. Il futuro inizia oggi: è un investimento nel presente, con la certezza che «la vita è sempre un bene» per noi e per i nostri figli. Per tutti. E’ un bene desiderabile e conseguibile.

“Ma Gesù chi si crede di essere?”

(Commento al vangelo di don Simone Calabria)

Tutta la liturgia di oggi, ci offre delle indicazioni per farci comprendere qual è la nostra identità di cristiano. Noi, spesso ci chiediamo: che differenza c’è tra un cristiano e un non cristiano? Possiamo arrivare a una risposta partendo, innanzitutto, dal problema della vera identità: Chi è Gesù per me? Noi chi siamo?. Non si può credere senza conoscere e per conoscere una persona occorre starci e avere tempo, disponibilità, apertura del cuore. Non basta giudicare come di solito avviene nella nostra vita quotidiana. È Gesù Cristo la nostra vera identità: questa è la salvezza…credere in Lui.

Subito nasce una obiezione: ma come? Lui, un uomo come me, come noi, fatto di carne ed ossa, come può pretendere di avere un’importanza decisiva per la nostra salvezza? Ma se di Lui conosciamo vita, morte e miracoli? Ma chi crede di essere? S. Luca scrive: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”».

Ognuno di noi ha un modo ben diverso da Dio di giudicare le cose che ci accadono. Nel giudicare, per lo più ci fermiamo all’apparenza; ci lasciamo guidare da emozioni superficiali, oppure da gelosie. Forse anche nel caso di Gesù i suoi compaesani si chiedevano: perché lui deve essere così, e noi no?Tuttavia la difficoltà di capire l’identità di una persona, di come è fatta, spesso non viene solo dagli altri, ma pure da se stessi.

Succede quando ci si sottovaluta, non si ha stima di se stessi, magari perché giudichiamo con i criteri correnti: guardare i risultati (è più bravo di me), le doti, le qualità, che attirano l’attenzione e l’ammirazione delle persone. Di conseguenza, ci pesa il vivere la giornata, si dà spazio ai sensi di colpa.

È Dio che comunque giudica in profondità ognuno di noi: «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato» (I Lettura).

Essere «consacrati» vuol dire essere amati; significa essere messi nel gruppo degli intimi del Signore; chiamati da Lui per nome; scelti liberamente.

L’identità cristiana parte tutto da qui. Siamo stati fatti per stare con Dio, vivere in intimità con Lui nella carità, nell’amore: “La carità (l’amore) è magnanima, benevola, non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (Cor 12,4-8).

Per concludere, è nell’amore, nella carità, che si può corrispondere all’opera di Dio nei nostri confronti.

Dio entra in ognuno di noi e noi rispondiamo lasciandoci liberamente e completamente conoscere e avvolgere da Lui. Questa è la nostra vera identità cristiana.

E anche a te una spada trafiggerà l’anima

Sabato  02 Febbraio 2019

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 2,22-40.

Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore,
come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore;
e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d’Israele;
lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore.
Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge,
lo prese tra le braccia e benedisse Dio:
«Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola;
perché i miei occhi han visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli,
luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui.
Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione
perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza,
era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere.
Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret.
Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui.

 

  • Parlo a te che vivi spensierato ! A te che se cade il mondo ti sposti ! A te che non sai cos’è il Rispetto cos’è l’educazione , il prossimo , cos’è l’ Amore…C’è Dio che ci insegna quotidianamente  tutto questo…Stai attento ! Impara a conoscerlo , lui non desidera altro…un giorno , forse , potrà aiutarti , perché    anche a te una spada trafiggerà l’anima…

 

  • [Mandela in prigione, nella visione di François Pienaar]

    Dalla notte che mi avvolge,
    nera come la fossa dell’Inferno,
    rendo grazie a qualunque Dio ci sia
    per la mia anima invincibile.
    La morsa feroce degli eventi
    non m’ha tratto smorfia o grido.
    Sferzata a sangue dalla sorte
    non s’è piegata la mia testa.
    Di là da questo luogo d’ira e di lacrime
    si staglia solo l’orrore della fine.
    Ma in faccia agli anni che minacciano,
    sono e sarò sempre imperturbato.
    Non importa quanto angusta sia la porta,
    quanto impietosa la sentenza,
    sono il padrone del mio destino,
    il capitano della mia anima.

    [Poesia di William Ernest Henley]

NELSON MANDELA